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La Terra, un pianeta di plastica?

25 Gennaio 2019

La Terra, un pianeta di plastica?

Sembra impossibile ma non la possiamo evitare! La plastica è ovunque, la mangiamo, la respiriamo e ci nuotiamo assieme. In pratica ha conquistato ogni cm di spazio della nostra vita quotidiana. A partire dalle automobili che sono costituite per metà di plastica, agli abiti in poliestere e nylon, che ormai stanno sostituendo le fibre tessili come per esempio cotone e lana. Se poi a tutto ciò si aggiungono i giocattoli, gli utensili per la casa, gli imballaggi dei prodotti di consumo, la diffusione di questo materiale è ancora più evidente. Come fa osservare il regista di Plastic Planet, la plastica viene acquistata indistintamente da tutti, dalle famiglie più agiate a quelle più povere, rendendo chiaro come questa si sia diffusa ovunque anche negli angoli più remoti del nostro pianeta.


Nel 2017 la produzione mondiale di plastica si è attestata sui 348 milioni di tonnellate, circa 13 milioni in più rispetto al 2016; in Europa si parla di 64.4 milioni di tonnellate, 4.4 milioni di tonnellate in più rispetto al 2017. La Cina rappresenta il maggior produttore a livello mondiale di plastica, ne produce circa il 29,4% seguita dall’Europa con il 18,5% e da NAFTA (North American Free Trade Agreement) con 17.7%.


Dal 2050 la sua produzione ha subito un’impennata, siamo passati da 1,5 milioni di tonnellate nel 1950 ad una produzione di 200 milioni di tonnellate nel 2002 fino ad arrivare a più di 300 milioni nel 2014-2016. Dati allarmanti che fino a qualche anno fa non sembravano aver destato nessuna preoccupazione nella popolazione. Infatti per qualche motivo abbiamo iniziato a preoccuparcene adesso. 


Saranno state le immagini degli uccelli agonizzanti per la plastica ingerita, saranno stati i documentari girati dai big del cinema come per esempio Leonardo Di Caprio sensibili a questa problematica, saranno i video toccanti di tutta la plastica sparpagliata nei mari. Ma finalmente sembra che seppur con un certo ritardo, stiamo iniziando a muoverci.


L’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite) ha collocato il problema della plastica negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi (insieme ad altre come i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani e la perdita di biodiversità). Finalmente si pone sotto i riflettori l’emergenza globale della plastica, una situazione davvero disastrosa dove ogni anno vengano gettati in mare dai 4.8 ai 12.7 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. L’Europa, per esempio riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e le 130 mila tonnellate di microplastiche. Il suo principale serbatoio è proprio il Mediterraneo che rischia di trasformarsi in una vera e propria “trappola di plastica”, dove si concentra circa il 7% della microplastica globale.


Ma non è l’unico mare ad essere contaminato, anche i nostri oceani lo sono abbondantemente si parla addirittura di sei isole di plastica, l’ultima ad essere stata individuata sembrerebbe l’Artic Garbage Patch che raccoglierebbe tutte le materie scartate in Europa e nella costa orientale del Nord America .


Globalmente più di 300 specie sono state trovate intrappolate nella plastica. Oggi, il 90% degli uccelli marini ha nello stomaco dei frammenti di plastica (nel 1960 erano il 5%) e saranno il 99% nel 2050 se non si riuscirà a ridurre l’afflusso di questo materiale nei mari. Fibre e microplastiche sono state rinvenute in ostriche e cozze, mentre in grandi pesci pelagici sono stati ritrovati involucri di patatine e di sigarette. Il caso più estremo: 9 metri di fune, 4,5 metri di tubo flessibile, 2 vasi da fiori e diversi teli di plastica sono stati trovati nello stomaco di un capodoglio spiaggiato.


Come suggerisce il regista di Plastic Planet dobbiamo considerare anche altri aspetti che riguardano le plastiche, anche la loro composizione chimica. Infatti molte di queste contengono additivi che vengono impiegati e mescolati a polimeri per conferirgli delle particolari proprietà, come ad esempio plastificanti; ritardanti di fiamma; stabilizzanti, antiossidanti; stabilizzatori di calore; agenti indurenti; agenti espandenti. Proprio su questo argomento è uscito recentemente un articolo molto interessante sul Journal of Hazardous Materials  che riguarda proprio il trasferimento di sostanze potenzialmente tossiche nel packaging. Il passaggio di queste dipende dalla tipologia di cibo, dalle interazioni cibo-additivo e dalle condizioni tempo-temperatura- stoccaggio. 


Il blocco delle importazioni di rifiuti di plastica in Cina, deciso da Pechino nel 2017 e in vigore dal primo gennaio di quest’anno, ha spinto tutti gli altri paesi a riflettere. Infatti secondo la stima di un gruppo di ricercatori dell'Università della Georgia ad Athens, se non poniamo dei ripari fin da subito, ci troveremo ad affrontare entro il 2030 circa 110 milioni di tonnellate di rifiuti plastici accumulati. L'unico modo per evitarlo è varare programmi per lo sviluppo e la diffusione su scala globale di sistemi di riciclaggio più efficienti.


L’Europa ha reagito immediatamente alla decisione della Cina di bloccare le importazioni di 24 tipologie di rifiuti attraverso il Circular Economy Package che prevede quattro proposte legislative riguardanti anche i rifiuti provenienti dal packaging. Si guarda al reale riciclaggio di questa tipologia di rifiuti che dovrà raggiungere circa il 65% entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Ma questo è sufficiente? Dalla plastica vecchia ne produciamo una nuova e il problema permane. E per questo che l’Europa ha varato un programma per bloccare la produzione delle plastiche monouso (posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini) la cui produzione verrà vietata entro il 2021. Dal primo gennaio 2019 è stata bloccata finalmente la produzione e il commercio dei bastoncini di plastica per la pulizia delle orecchie: gli unici cotton fioc legali saranno quelli di materiale biodegradabile e compostabile.


Dobbiamo fare molto di più e subito, ma questo dipende da noi! 


Scritto da Sara Falsini

Un ringraziamento particolare va al prof Bardi, al prof Bagnoli, all'associazione Caffé Scienza e Anemic.

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