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La questione dei sacchetti a pagamento, un altro bel disastro all’Italiana.
05 Gennaio 2018
Articolo scritto dal prof. Ugo Bardi, pubblicato su Il Fatto Quotiano
Con la faccenda della nuova legge sui sacchetti a
pagamento per la frutta e la verdura ci troviamo di nuovo di fronte
all’assoluta ingovernabilità del dibattito. Se su una questione da due
centesimi riusciamo a fare un pasticcio del genere, che speranza abbiamo di
discutere seriamente di cose importanti, tipo il cambiamento climatico o il degrado
sistemico del paese?
Ma andiamo a vedere un po’ meglio la storia dei due
centesimi a sacchetto e dell’obbligo che il sacchetto sia biodegradabile. E’
una cosa utile? In principio, si. Sono ormai parecchi anni che si paga qualcosa
per i sacchetti della spesa al supermercato. Lo si fa perché sono un fattore di
inquinamento importante e si cerca di ridurne l’impatto. Non che il fatto che
ogni sacchetto costi qualche centesimo cambi qualcosa, ma se ne sprecano di
meno di quanto non sarebbe se fossero gratis. Quindi, niente di strano
nell’idea di fare la stessa cosa per i sacchetti trasparenti della frutta e
della verdura. Pagandoli, sia pure poco, si presume che gli acquirenti stiano
un po’ più attenti a non sprecarli.
Si poteva pensare a qualche altro metodo? Certamente sì.
La cosa migliore sarebbe stata trovare il modo di eliminare completamente i
sacchetti – e non solo quelli della frutta e verdura. Buste di carta, oppure
contenitori riutilizzabili possono offrire un’alternativa probabilmente
migliore. Ci sono molte possibilità che si possono pensare, discutere, e
sperimentare.
Invece, la discussione sui sacchetti ha subito debordato
nella pura follia. Si è parlato di complotti contro i consumatori, di balzello
inaccettabile, di imbroglio del governo per favorire la Novamont che produce i
sacchetti e la sig.ra Catia Bastioli, amministratrice. Quest’ultima è stata
definita “Renziana di Ferro,” apparentemente soltanto sulla base di aver
partecipato come oratore a un convegno alla Leopolda nel 2011.
L’accusa di aver brigato per imbrogliare i consumatori
italiani in combutta con Matteo Renzi è decisamente pesante, soprattutto se
pensiamo che non è basata su uno straccio di prova. Considerate poi che Catia
Bastioli ha nel suo curriculum cose come “Inventore Europeo dell’anno” nel
2007, il premio Giulio Natta nel 2015, lauree honoris causa presso prestigiosi
atenei italiani, pubblicazioni, centinaia di brevetti nazionali e
internazionali e altre cosette (come potete leggere sulla pagina a lei dedicata
su Wikipedia). Ma vedete quanto basta poco per la macchina del fango a mettersi
in moto e trascinare via chiunque, anche persone di grandissimo valore.
Onestamente, questa faccenda comincia a diventare
preoccupante. Qualsiasi cosa si faccia per cercare di migliorare la gestione
dei rifiuti, anche piccola, rischia sempre di finire nel disastro comunicativo.
Più che altro, questa la vicenda ci mostra come non siamo più in grado di
discutere di niente su basi razionali. Forse non ne siamo mai stati in grado,
ma l’irrompere dei social media ha cambiato lo stile della discussone: le
opinioni diventano più importanti dei fatti, le illazioni diventano prove, le
accuse non provate diventano l’opinione generale, il complottismo spicciolo
domina ogni discorso e nessuno si sente più responsabile di quello che dice.
Ora, sui sacchetti da due centesimi l’uno, forse la
storia può anche essere vista come una fesseria di poco conto. Il problema è
che lo stesso stile di discussione si applica a cose serie – molto serie. Come
dicevo all’inizio di questo post, se non riusciamo a discutere in modo
razionale, come possiamo sperare di gestire cose da cui dipende la nostra
sopravvivenza economica, tipo la gestione finanziaria del paese? Oppure anche
la nostra sopravvivenza fisica, tipo il cambiamento climatico? Riusciremo mai
ad imparare a ragionare? Possiamo solo sperarlo.
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